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Convegno sui 30 anni della “Redemptor hominis”

Convegno sui 30 anni della “Redemptor hominis”

Il 4 marzo 1979 Giovanni Paolo II promuglava la Redemptor Hominis, primo dono e prima Lettera Enciclica di Giovanni Paolo II. A 30 anni di distanza l’evento non poteva per noi passare inosservato e l’Ufficio Catechistico Diocesano, in collaborazione con il Laboratorio Permanente Duc in altum della Parrocchia Sacro Cuore, ha organizzato un Convegno celebrativo. Giovanni Paolo II e la storia dell’uomo, un lungo viaggio che trova il suo principio e la sua sorgente nel mistero di Cristo. Ad un mondo senza centro il Papa ha ricordato che il fulcro della storia, il centro dell’uomo e del mondo si trovano in Cristo. Per Giovanni Paolo II l’uomo è, strutturalmente, sempre aperto ad un incontro con Cristo: la questione antropologica ha il suo fondamento e si risolve nella cristologia.

Il 22 giugno 1983 nella spianata di Blonie a Cracovia, un milione di persone assistettero alla beatificazione di Adam Chmielowski. Fu un eroe dell’insurrezione polacca, un pittore di talento, e poi un monaco. Nella Cracovia di fine Ottocento Adam Chmielowski si accorse dei poveri e decise di vivere con loro, abbandonando l’arte per un saio grigio, le visioni pittoriche per le realtà degli ultimi. Frate Alberto, questo il nome con cui si è consegnato alla storia sociale e religiosa della Polonia moderna, fu testimone del vangelo, un uomo libero, uno dei tanti esempi di santità proposti dalla Chiesa. Eppure la sua beatificazione è stato un evento che si può definire unico. Per la prima volta nella storia, infatti, un Pontefice innalza agli onori degli altari il protagonista di un suo dramma. Giovanni Paolo II doveva avvertire l’eccezionalità della situazione. Quel giorno, dichiarando beato Adam Chmielowski, chiudeva un cerchio di relazioni che avevano definito la sua vita. Non era più un drammaturgo ma il primo Papa slavo nella storia della Chiesa, non scriveva più recensioni con lo pseudonimo di Andrzej Jawien ma Encicliche che scuotevano il mondo indirizzandolo verso sentieri di pace e di verità. L’attore appassionato di teatro e della parola, nella Cracovia occupata dai nazisti, si era trasformato nell’atleta di Dio che gridava al mondo, e alla sua Polonia, di non avere paura. Sui prati all’ombra del castello di Wawel, davanti alla sua Polonia ancora in stato di assedio, Giovanni Paolo II sapeva che ogni sua parola aveva un peso: ai polacchi oppressi e umiliati dalla legge marziale imposta da Jaruzelski indicava un ribelle, Adam, un eroe dell’insurrezione, della resistenza morale e culturale. Non era più un autore alle prese con il proprio personaggio, ma un pastore consapevole della carica morale esplosiva di un’esistenza plasmata dall’amore.

Una distanza enorme separava il giovane sacerdote, che si cimentava con il teatro rapsodico, dal Pontefice che, attraverso le omelie, parlava a un governo totalitario e a un popolo ansioso di libertà. La scena era diversa, gli attori nuovi, le parole incandescenti. Punto di unione, Adam Chmielowski: è lui che aveva spino Karol Wojtyla ad abbandonarsi al suo destino. Profeta di Dio e dell’Uomo. Per Giovanni Paolo II l’avventura umana è l’oggetto di ogni riflessione. Tutto parte dalla meraviglia, dallo stupore di fronte all’Adamo-Uomo, colui che esigenza di compimento e anelito all’infinito. L’uomo avverte che la sua vita appartiene ad un Altro e l’alleanza con Dio è una dimensione costitutiva dell’uomo, un piano di grandezza e di verità rivelativo dell’essere suo profondo. Giovanni Paolo II lo chiama piano originario. Il rapporto di Dio con l’uomo è ciò che consente all’uomo di vivere, di prendere progressivamente coscienza di sé, di maturarsi ed esprimersi in pienezza. Cristo, in quanto Verbo è presente nell’opera della creazione, proprio perché logos preesistente presso il Padre. Ogni intervento creativo si compie attraverso il Logos. L’origine creaturale dell’uomo è innestata proprio sull’eterno dire se stesso del Padre, nel suo Verbo, e nell’eterno amore del Padre per il suo Verbo, nell’unità dello Spirito.

Tutto questo significa l’uomo persona, immagine di Dio, non è più solo un essere posto fondamentalmente in stato problematico di attesa passiva di una possibile e indefinibile offerta di grazia, ma entra ormai in un libero progetto storico di Dio. Il Papa sostiene che, per comprendere con coerenza chi sia l’uomo, è necessario puntare gli occhi su Cristo: è questa la rivoluzione culturale del Vangelo che trasforma e opera di sua iniziativa, senza attendere il consenso degli uomini. Per questo quando Giovanni Paolo II ha parlato di Cristo lo ha fatto sempre nei termini di una presenza da incontrare. Nel ricordo che l’uomo è via della Chiesa c’è la freschezza di tutto il Vangelo di Gesù. Rileggendo le pagine del Santo Padre viene fuori l’architettura antropologica-teologica e pastorale del suo intero Pontificato. Giovanni Paolo II ha annunciato il Cristo Redentore dell’Uomo. Di tutto l’uomo. Soprattutto dell’umanità sofferente che nel Cristo vede riscattata la sua dignità. Il volto del Cristo è il volto dell’uomo. Alla luce di tutto ciò si spiegano i suoi viaggi apostolici e la prossimità ad ogni uomo.

I ventisei anni e mezzo del suo Pontificato sono scolpiti nella memoria e nel cuore di ciascuno di noi. Ricordiamo tutti, infatti, quel suo forte invito all’inizio solenne del suo ministero, il 22 ottobre 1978:«Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!». Un invito al quale egli per primo è rimasto sempre fedele. Lo slavo Karol Wojtyla ricordò subito l’incredibile profezia di un grande poeta suo connazionale, Juliusz Slowacki, fatta più di un secolo prima: «In mezzo alle discordie, Dio fa suonare una campana immensa, Egli apre il trono a una Papa slavo. È necessaria molta forza per ricostruire il mondo del Signore; ecco perciò che viene un Papa slavo, fratello di popoli». In un tempo in cui leggi, norme, percorsi e riflessioni si innalzano sugli altari del tornaconto escludendo l’uomo e mortificandone la dignità, la Redemptor Hominis può ancora oggi ridare speranza e ridisegnare il vero volto dell’uomo? Questo abbiamo chiesto a S.E. Mons. Mario Russotto e gli siamo grati per la sua parola e i suoi insegnamenti.

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